Parole e Musica Eduardo Carlo Natoli - Eduardo Carlo Natoli Compositore

Eduardo Carlo Natoli
Compositore
Eduardo Carlo Natoli
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Comporre, come vivere, significa scegliere…e la scelta implica sempre una rinuncia.
Da quando ho cominciato a scrivere ad oggi, la mia musica è cambiata moltissimo, da quando ho cominciato a scegliere ad oggi, io stesso sono cambiato moltissimo.
Nonostante ciò nella mia musica, come nella mia vita, esistono tratti essenziali indelebili, come testimoni, nei cambiamenti, di una “immutabile essenza”.

Hanno scritto di me autore di sicura tecnica compositiva e indubbiamente dopo 30 anni di carriera una tecnica ci sarà pure…ma quando cominci un nuovo lavoro, ricominci da capo, sei di nuovo in mare aperto, è un nuovo stupefacente ed entusiasmante percorso inesplorato, una nuova esperienza.


Sono un compositore quindi, ma anche un interprete, un inventore di storie, un giocoliere, un poeta, un uomo che coltiva il dubbio e che cerca risposte nella creazione.

La scelta è sempre stata la composizione ma come non ammettere che avrei voluto scrivere romanzi, o danzare una coreografia di Kylian, o interpretare il Figaro di Mozart…

Ma allora forse essere un compositore significa anche essere un artista…e creare significa anche trovare il modo per denunciare la condizione propria e di un'intera generazione di docenti precari, inventando la figura di un ipotetico compositore del ‘700 che possa parlare al tuo posto; ricostruirne la vita, le angosce, il carteggio, la personalità, ritrovando in un vecchio baule le sue lungimiranti “Arie Precarie” o ironizzare su noi stessi e sulla “musica contemporanea & company” e immaginare i tormenti di una giovane cantante che pur di lavorare abbandona la sua amata Violetta e accetta a malincuore di interpretare la prima assoluta di un giovane inesperto e delirante compositore contemporaneo.

Creare significa anche scrivere di getto un racconto o una fiaba o una storiella in rime e non finirli…perché devi ultimare e consegnare un quartetto d’archi…:-)

NOTE DI SALA

EIDOS
per otto contrabbassi

Dopo l’esperienza di Reminiscenze per 3 quartetti d’archi e due gruppi di percussioni, Reminiscenze II per orchestra sinfonica (periodo francese), Mimèsi per quartetto d’archi e nastro magnetico (1990 RAI Radio1), e Tra i due Silenzi per clarinetto, violino, contrabbasso, nastro magnetico e live electronics (1997 Lombardia Europa Musica), Eidos è il quinto lavoro in cui l’idea formale, non solo nell’articolazione delle sezioni ma nella sua dimensione poetica ed intuitiva, vive un profondo legame con la potenza evocativa di alcuni tratti del pensiero platonico.
Scritto per otto contrabbassi, articolato in undici movimenti, è per la sua durata (1h e 10’ circa), concepito per un’esperienza di ascolto di una serata intera.
Amo definirlo come poema dell’immutabile essenza, ho voluto viverlo come un lavoro in cui ancora una volta, seguendo l’intima forza di materiali sonori che si autogenerano per simbiosi, cercare nella forma la capacità di restituire, nella sua inevitabile dimensione temporale, una universale e quindi atemporale consapevolezza emotiva della totalità.
Eidos arriva a segnare un tratto inequivocabile nella mia produzione, che definisce con chiarezza quanto una scrittura possa cambiare nel tempo conservando la sua essenza.
In Platone le essenze coincidono con modelli o idee che esistono separatamente dal mondo terreno ed hanno caratteristiche molto differenti; sono eterne, perfette ed immutabili.
Come forse abbiamo finalmente capito, che l’aderenza alla contemporaneità e la sua interpretazione non risiede nella modernità del linguaggio tout court ma nel pensiero compositivo che lo genera, così sembra chiarirsi nel mio percorso artistico, quanto le scelte compositive non possano restare
inalterate nel tempo, ma nel loro inevitabile modificarsi conservino tuttavia una immutabilità nella loro entità, nella loro dimensione espressiva e rappresentativa.
Nell’ipotesi di una conoscenza pregressa in grado di discernere tra oggetti ideali ed empirici, vive il concetto di eidos e la scelta del suo organico.
Otto contrabbassi hanno permesso l’esplorazione e l’identificazione di oggetti sonori ideali, hanno offerto alla scrittura una immersione in un suono altro, il raggiungimento dell’idea di archi nel superamento della loro consueta connotazione timbrica.
L’articolazione in undici movimenti propone (ad esclusione dei movimenti I, VI ed XI), una continua fluttuazione tra due livelli di ascolto a sottolineare la distinzione tra i due piani della realtà, quello della pura intellegibilità dell’Essere, e quello della sensazione e del divenire. La costruzione formale si è quindi mossa inevitabilmente in due direzioni; i 3 blocchi principali, il I, il VI e l’XI movimento, rispettivamente di 7’, 22’ e 6’, portano l’ascoltatore a vivere, per la durata e per la complessità stessa del VI movimento, l’esperienza più importante nella parte centrale del lavoro. Questa organizzazione delle proporzioni mi è sembrata da subito l’unica possibile, in un lavoro in cui la rappresentazione dell’essenza non poteva passare attraverso un’idea di sviluppo o di evoluzione direzionale del tempo, ma esprimere la propria identità in una immersione esplorativa delle stratificazioni del pensiero. E’ per questo motivo che il VI movimento vede eccezionalmente gli otto contrabbassi pensati come un doppio quartetto e propone una scrittura che scava armonicamente nel materiale come se ci fosse un quartetto sommerso da riportare alla luce.
La tripartizione che deriva dai principali blocchi, come in una generalizzazione del concetto di Essere (Esistenza, Identità, Appartenenza), vive grazie alla presenza degli altri movimenti, come l’idea, grazie alla sua perfezione ed immutabilità, si differenzia dalle cose sensibili che partecipano ad essa.
Il linguaggio è stato l’ultimo dei miei pensieri, si è definito nel fluire naturale del suono; l’armonia, che nei miei lavori è spesso un’armonia risultante, si è determinata nella sua continua aderenza alla profondità dei colori, alle trasformazioni timbriche; non ho cercato effetti, ma dove era fondamentale prendere le distanze dalla poetica predominante del lavoro e sublimarne nell’astrazione la mancanza, ho condotto la scrittura su un’esplorazione espressiva di tecniche estese.
Ho sempre creduto scarsamente praticabile, nella mia musica, l’idea di adottare una tecnica compositiva a priori o di utilizzare procedimenti speculativi che non fossero fortemente dettati dalla natura dei materiali.
Credo nel valore di una tecnica compositiva profondamente legata alla poetica e all’idea formale.
In questo principio anche la dimensione memoria ha rintracciato la propria identità; lontana dal classico ruolo di ricordo ed intellegibilità, ma inevitabilmente distante anche da una più moderna concezione che la vede spesso tradursi in un processo di accumulazione del materiale, la memoria in Eidos non poteva che esprimersi come mìmesis e l’imitazione non poteva certo risolversi semplicemente in una tecnica contrappuntistica, era necessario trovare una duplicità nella scrittura che consentisse il continuo passaggio, come un respiro vitale, tra l’oggetto ideale e la sua copia empirica, tra l’espressione fenomenologica e la sua essenza.
Impossibile qui addentrarsi in tecnicismi, ma una parte rilevante di questo lavoro è concentrata proprio sulla possibilità strumentale di ottenere due suoni diversi nella medesima posizione, cercando in armonici naturali di diverso tipo la possibilità di un repentino passaggio dal suono reale alla sua proiezione acuta. In una sovrapposizione a più voci questa tecnica ha consentito alla scrittura di respirare e al suono di identificarsi ed imitarsi nel proprio spessore in una continua fluttuazione di altezze.
Un esempio di questa tecnica e di procedimento di imitazione concettuale, in cui non vi è la riproduzione di un modello ma il protrarsi della medesima genesi del suono, è riscontrabile in diversi passaggi del lavoro, ma diventa ancora più palese nel rapporto tra il VII e l’VIII movimento, in
cui quest’ultimo si motiva come una sorta di eco, come una elaborazione trasformata di una memoria, come la ramificazione di una identità.
Ed è nel concetto di ramificazione che la dimensione evocativa del recitativo del primo movimento, che investe in separate unità fraseologiche i diversi contrabbassi su fasce sonore ritmicamente animate, si immerge e si perde negli strati più sotterranei del lavoro, per riaffiorare solo verso la
fine, nel decimo movimento, come canto di una avvenuta sintesi, sotto forma di identificazione di una essenza, come mèlos cristallino, ideale, poetico incanto, incastonato nel silenzio.
In una sonorità quasi elettroacustica le ramificazioni di questo solo si immergono di nuovo nel tutti, il semplice segno dell’idea, nella sua nuda ed essenziale espressione, ritrova lo spessore della complessità e lascia una traccia di sé e di una sua ipotetica proiezione futura in un ultimo respiro che
chiude il movimento. L’ultimo brano riparte da un suono indefinito; gli archi dietro il ponticello con una dinamica alle soglie dell’udibile cercano nuove diramazioni sonore, il suono indefinito è progressivamente integrato in una nuova logica armonica e il flusso sonoro ritrova la fisicità degli
otto strumenti.
Amo definirlo come poema dell’immutabile essenza, amo una scrittura che non cerchi scorciatoie nel mestiere, una scrittura in grado di respirare e di generare entità. Anche in questo lavoro, come sempre, spero di aver taciuto l’inutile.
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Il Risultato del Desiderio Interiore

Quando da giovanissimo ho cominciato a frequentare le sale da concerto, ricordo che prima dell’inizio, leggevo con molta attenzione le note dei programmi di sala; più leggevo e più la corrispondenza con l’evento musicale era vaga e sorprendente.
 
Succedeva spesso infatti che una presentazione semplice e apparentemente inutile preludesse un brano musicale pieno d’interesse e di fascino, e che, al contrario, più la presentazione era intrisa di significati “alchemici” e “filosofici”, guarnita da ricche citazioni “colte”, più il materiale sonoro era privo di attrattive e di pathos.
 
Nonostante la mia abituale lentezza nelle conclusioni capii subito alcune cattive abitudini del compositore contemporaneo.
 
In realtà più guardo e vivo il mondo artistico che mi circonda e più mi rendo conto di quanto la libertà di cui tanto si parla sia soffocata dalla paura di essere realmente liberi.
 
Così le correnti e le tendenze nascono e fioriscono non tanto per una necessità interiore quanto per potersi muovere più comodamente intorno ad un punto di riferimento comune.
 
In questo disco ho cercato di inserire brani di diverso genere, alcuni destinati alla sala da concerto, altri pensati per la danza, alcuni nati dall’interesse per la ricerca, altri per gioco; così come mi capita di passare serate riflessive o brillo in birreria, a cercare il vestito giusto per un’idea o a sognare una vacanza alle Maldive.
 
Cosa dire di più…dal sogno alla sua realizzazione si scatena l’atto d’amore, la follia, la pura irrazionalità, le rêve cerca una canale razionale per affermarsi; la simbiosi ha inizio.
 
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Romeo e Giulietta

Purché tra queste note, libere da qualsiasi forma narrativa, si possa sentire il “loro respiro”.
 
Per chi ama la sintesi potrei concludere qui.
 
In realtà questa “priorità” ha determinato scelte compositive fondamentali; e le riflessioni generali sul linguaggio contemporaneo e sulla necessità di sottrarre la ricerca ad una prassi accademica, per
 
lo più sterile e priva di quella componente emotiva legata alla comunicazione, hanno trovato in questo lavoro, un motivo di maggior approfondimento.
 
Scrivere la musica per “Hystoria novellamente ritrovata di due nobili amanti” ha quindi significato rispettare l’intima forza di un materiale sonoro dettato dall’idea formale, incapace di sottoporsi a speculazioni a priori, un materiale che aveva in sé la sua speculazione e che si rigenerava in una sorta di ricerca interiore.
 
La scelta dell’organico (violino, clarinetto, contrabbasso e nastro magnetico) mi ha permesso di esplorare in una simbiosi elettroacustica, due mondi sonori, che ritenevo indispensabili; da una parte il mondo della “tradizione”, rivissuta in una sintesi virtuale (prevalentemente
 
nell’orchestrazione dei 5 balli) dall’altra il mondo della scrittura strumentale della ricerca timbrica, delle possibilità espressive del linguaggio contemporaneo.
 
Alcuni momenti fondamentali di questo lavoro, come ad esempio “I Romei” (per violino, clarinetto e nastro) o “L’Addio degli Amanti” (per violino, contrabbasso e nastro) nascono come momento di fusione e forse di superamento della distinzione di questi due mondi.
 
Nel primo, su un ostinato di archi i due strumenti vivono in una continua proiezione timbrica e dinamica generando una linea comune, tentativo di ovviare, pur conservando l’idea di “melos”, al concetto di melodia tradizionalmente inteso, nel secondo è forse la maggiore complessità della scrittura elettronica a dar vita ad una terza via, ad una sorta di mondo a sé, riconoscibile grazie alla memoria timbrica.
 
Spesso si parla di “sonorità” come “atmosfere” parola forse troppo vaga e impropria al linguaggio musicale, eppure è fuori dubbio che il mondo di Romeo e Giulietta ha un suono, che andava cercato e rispettato…perché tra queste note, libere da qualsiasi forma narrativa, si potesse sentire il “loro respiro”.
 
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Otto Corde Incantate
suite in otto movimenti per violino e violoncello

...verso la definizione di un se, ipotesi di un’astrazione, celata tra otto corde nitide e vibranti, tecniche estese, rarefazioni timbriche, corporeità di eventi sonori capaci di memoria, assenze, slanci sospesi, espressioni del silenzio, voci sommesse ed improvvisi canti, aeree tensioni, linee che celano solchi, distanze, armonia, come oscillante accoglienza e tutela di un dubbio, simbiosi, abbandono, aistanti di consapevolezza emotiva di una totalità, percezione di una sintesi, incanto.
 
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